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La qualità innanzi tutto!

Intervista per il mensile OLTRE di Giugno 2018

Trani, perla dell’Adriatico per le sue straordinarie bellezze storico-architettoniche, fra cui la più bella cattedrale sul mare al mondo, celebre per la pietra di Trani e le sue cave produttive di benessere negli anni ’80, e per essere stata un forte polo del TAC, leader per il calzaturiero negli anni ’90, vanta anche un’insospettabile azienda alimentare di straordinaria importanza. Tra le prime aziende in Italia nel comparto come mono prodotto “tarallo”, Tesori d’Apulia coniuga ricette antiche alla contemporaneità dei concetti di sostenibilità, economica circolare e innovazione tecnologica. Domenico Tarantini è un imprenditore 4.0 che ha fatto il salto di qualità, guardando oltre, pur non provenendo da un milieu familiare imprenditoriale.
Pacato, con quella determinazione che racconta di studio, abnegazione per il lavoro, che ha avuto la lungimiranza di scegliere persone che avessero già il know how per cominciare questa avventura e ha messo a frutto le sue esperienze pregresse, dimostrando che gli sta a cuore ciò che fa e ciò che la sua azienda rappresenta.

Una storia affascinante la sua: un altro contesto di provenienza, un’altra mentalità, che non è quella del profitto e del fatturato tout court. C’è di più. Fare impresa non è difficile, bisogna avere una visione totale.
La qualità non è solo uno slogan, questo l’assunto perentorio di tutto rilievo del CEO di Tesori d’Apulia.

Qui in questa azienda a Trani vige una grande attenzione all’ambiente. La qualità non è solo di prodotto ma anche di processo. Tutta l’alimentazione della linea di cottura, compresa la bollitura, è a pellet, le acque di scarto sono fito-depurate, il nuovo packaging in via di lancio è totalmente riciclabile.  Un’azienda moderna, questo è il terzo stabilimento, aperto a fine 2017, che conferisce subito il concetto dell’asettico, perché sacro è il tarallo e il cibo per qualsiasi pugliese, ma anche l’idea dell’attenzione alla produzione da parte di tutti, dipendenti compresi. Una catena di produzione evoluta, con accorgimenti che fanno la differenza.
Una potenzialità di 100-110 quintali al giorno, una dimensione aziendale importante e tanti controlli, per legge, ma anche per etica d’impresa. Talvolta eccessi di zelo che mirano ad un unico credo: la qualità.

I taralli sono uno dei prodotti più identificativi della nostra regione. Avete iniziato nel 2005 quando ancora non si parlava di Puglia come brand da esportazione. Come avete deciso di intraprendere questa avventura?

Domenico Tarantini: Ho deciso per causalità, sotto la spinta di un amico che ha dei supermercati in zona che mi rappresentò la forte crescita e vendita del prodotto.
Tutto sommato se si parte da una piccola azienda non è difficilissimo fare impresa. Bisogna essere bravi a farsi apprezzare e a vendere il prodotto. Il tarallo è tipico della Puglia e la rappresenta, ma se non è buono non ha lunga vita.
Quando sono partito con questa avventura ho sempre pensato che il prodotto potesse essere apprezzato per la qualità prima di fregiarmi del titolo di imprenditore. Finora ci sono riuscito.

Le spinte giornaliere che vi conducono a fare sempre meglio, alla cura effettiva di questa azienda?

Io non provengo da una famiglia di imprenditori. Sono figlio di un maestro elementare che quando c’era ancora la lira è riuscito a mantenere dignitosamente una famiglia di 5 persone e pagare un mutuo di casa.
Non avevo grandi aspettative, facevo tutt’altro nella vita.
Avevo una piccola impresa edile, una ditta di ristrutturazioni, e prima ancora ho lavorato per i Mastrogiacomo (Centro Turistico Mastrogiacomo e Divinae Follie). Sono entrato lì come pr e poi mi è stata affidata la gestione del personale. All’epoca il Divinae, la più grande discoteca del sud Italia, era l’ombelico del mondo.
La gente veniva da tutta Italia. Loro sono stati veri pionieri nel mondo dell’intrattenimento.
Proprio perché io non provengo da una famiglia di imprenditori, non ho l’assillo di guadagnare tanto per diventare ricco, ma solo quello che l’azienda debba crescere sempre più grazie alla qualità.
Non ho mai derogato su quest’ultima dall’inizio, da quando producevamo 3 quintali al giorno ad ora che ne produciamo più di 100.
E il fatto che io non faccia magazzino lo comprova! È un po’ come si fa per la moda prêt-à-porter, io produco sempre dopo che ho ricevuto l’ordine dal fornitore. Perché tengo acchè il prodotto arrivi sullo scaffale o alla sua destinazione finale con la sua fragranza. Sebbene con i dovuti accorgimenti riusciamo a dare una shelf life di sette otto o nove mesi, a seconda degli olii che si utilizzano, però vien da sé che un conto sia assaggiare un tarallo fatto tre mesi prima, un conto assaggiarne uno prodotto un mese prima.
Mi chiedeva delle spinte: spesso ricevere le mail con feedback più che positivi per il prodotto è la migliore benzina per andare avanti. Non il fatto di aver guadagnato un margine maggiore di danaro.

Materie prime di qualità (farina, acqua, olio, sale e vino), attenzione a tutta la filiera produttiva, alla conservazione, all’esposizione. Quanto è importante la qualità in tutte le fasi che accompagnano la produzione e la commercializzazione del prodotto? I vostri prodotti a cottura ecologica sono certificati BRC British Retail Consortium e IFS International Food Standards.

La qualità non è solo uno slogan. È troppo comodo dire che si fa un prodotto di qualità e poi trascurare altri aspetti. Quelle due certificazioni a cui faceva accenno sono stringenti nel mondo dell’alimentare. Realizzare un prodotto di qualità significa anche produrlo con la cottura ecologica.
Mi posso fregiare del fatto che il mio sia stato il primo tarallificio ad aver trasformato l’intera linea di cottura dal GPL al PELLET.

Un’attenzione alle fonti energetiche, dunque.

Qui è totale, anche la linea di bollitura è alimentata a pellet. Un’altra innovazione, poi, se si parla di rispetto per l’ambiente, è la fitodepurazione. Cioè, le acque reflue della lavorazione della bollitura, piuttosto che farle defluire nella rete fognaria con opportuni filtraggi, visto che la legge lo consente, vengono utilizzate per alimentare delle piante che abbiamo in azienda. Con una subtubazione esse vengono convogliate in una aiuola dove ci sono delle piante di Phragmites australis (piante simili a canne di papiro). Il processo depurativo si basa sulla presenza dell’ossigeno contenuto nel terreno delle vasche, integrato con il potere depurativo della biomassa prodotta dalle radici delle piante.  L’acqua di bollitura tutto sommato non è molto contaminata, visto che trattasi di amido della farina, trattenuto dalla bollitura, e olio.
Questa sembra una inezia, ma quando si parla di sostenibilità e attenzione per l’ambiente e della qualità del prodotto credo che anche questo fattore sia da tenere in considerazione.

Ho letto che avete un prodotto che fonde assieme la tradizione e l’innovazione. Marallo bio. Il tarallo impastato con acqua di mare, naturalmente salato con acqua di mare microbiologicamente pura, riserva di mare ® Steralmar.
I nostri nonni raccontano che prima c’era chi vendeva l’acqua di mare sfusa, per utilizzarla negli impasti al posto del sale, come in quello del pane per esempio! Quindi nulla si inventa, tutto si evolve?

Sicuramente. Qualche anno fa abbiamo iniziato lo studio del progetto “Marallo” che ha già due anni di vita. Abbiamo provato a fare questo impasto, non è stato facile. Il tarallo ha molta massa grassa, c’è molto olio. Gli ingredienti sono vino, olio e farina. Perché il vino? Perché il vino conferisce al prodotto oltre che una nota di sapore che lo contraddistingue, anche la friabilità e funge anche da lievito.
Quando ho pensato di utilizzare l’acqua di mare non è stato semplice arrivare al prodotto finito. Il sale con la sua funzione igroscopica trattiene i liquidi e quindi nel processo di impasto ha una funzione importante, serve per mantenere legami tra ingredienti che tra loro non si amalgamano, non si emulsionano.

Per altro la farina da utilizzare deve essere una farina particolare.
Siamo riusciti ad affinare la lavorazione con degli accorgimenti naturali, la lavorazione non è forzata con nessun tipo di additivo. Ed è venuto fuori questo prodotto che si orienta verso un mercato di nicchia, perché è stato fatto con l’acqua di mare, quindi attira l’attenzione, ma va contemplato nella linea benessere perché è un prodotto totalmente bio: EVO biologico, farina bio e acqua di mare. Inizialmente il progetto andava nel solco dei prodotti che si rivolgevano a chi seguiva diete iposodiche. Proprio perché non contiene sale aggiunto. Prima di lanciarlo sul mercato, però, volevo capire che appeal potesse avere.

Abbiamo fatto l’anno scorso un panel test con una intervista in 5 Famila diversi (Bisceglie, Bari, Taranto, Brindisi, Molfetta). Presentavamo il prodotto. Tutti si fermavano con la hostess quando sentivano che era fatto con acqua di mare, lo assaggiavano e lo apprezzavano.
Perché se ad una bella idea, non segue l’apprezzamento effettivo, il tutto non ha senso.

Avete varie linee di produzione: linea tradizionale, linea benessere, linea biologica, tarallini, vari gusti, snack. Differenziare il prodotto è l’unico modo per rimanere sul mercato, sullo scaffale?

La ricerca della differenziazione è un conto, la ricerca dell’evoluzione un altro. Marallo bio è una evoluzione. La differenziazione è quella di iniziare ad avere dei compartimenti di prodotti: la linea benessere per esempio.
La differenziazione noi la subiamo. Proviamo a differenziare ma non è facile. Per esempio uno dei taralli più in voga in questo momento è il tarallo multicereale. Alla fine nessuno ha differenziato nulla, perché lo producono tutti. Piuttosto che sulla differenziazione quindi bisogna puntare sull’evoluzione, su prodotti completamente diversi oppure l’unica cosa che si deve inseguire è lo standard qualitativo. Sul mercato si permane per la qualità, non per altro.
Ci sono prodotti che esistono da una vita e non sono cambiati per niente, né mai cambieranno, perché sono di qualità.

La dimensione dell’azienda? Quali sono i vostri canali distributivi?

L’azienda ha 22 unità lavorative tra full time, part time e stagionali, più 4 unità di ufficio, più consulenti che vanno dal marketing al tecnologo, ai laboratori di analisi. Anche perché facciamo controlli settimanali delle materie prime e del prodotto.

Forse perché la legge ve lo impone, vero?

Ci sono adempimenti che ci impone la legge, e altri che ci impongono i capitolati dei clienti e altri ancora che noi facciamo per eccesso di zelo, come il controllo della shelf life.

Certo che l’Italia è il Paese che ha più attenzione in assoluto per la sicurezza alimentare!

Facciamo da qualche anno il prodotto a marchio Selex, vi posso garantire che l’ufficio qualità di Selex è peggio dell’FBI! Una battuta per significare che i capitolati sono molto fiscali.
Facciamo anche prodotti per METRO, SIGMA, CONAD che ci mandano gli audit in azienda. Il nostro canale di vendita non è mai stato l’Ho.Re.Ca. per esempio. Lavoriamo sempre a pedane, mai a cartone. Perché è un prodotto che ha ragione di esistere solo se si producono certe quantità e se ne garantisce la fragranza.
La nostra potenzialità è pari a 100-110 quintali al giorno.
Canali distributivi sono principalmente DO e GDO nazionali. L’estero è una cosa su cui Nicola Catacchio, il direttore generale dell’azienda, si sta concentrando. Abbiamo recentemente partecipato alla fiera bio in Inghilterra “Natural And Organic Products Europe 2018”. Anche se le fiere sono prevalentemente vetrine.

Bisogna veicolare il prodotto non solo come snack o sostitutivo del pane?

Per le indagini di mercato la regione che consuma più taralli non è la Lombardia, dove pure c’è una forte comunità meridionale e pugliese, ma il Veneto.
Secondo i nostri dati di vendita, pur avendo le loro tipicità, come la schiacciatina mantovana, il tarallo va per la maggiore. Nel mondo dei panificati il prodotto che si avvicina di più al tarallo come ingredienti è la piadina, bene, il tarallo segue a ruota e cresce molto di più. Ora stanno tornando anche i cracker, che erano stati dimenticati, perché a differenza di prima, esattamente come per il tarallo, li stanno aromatizzando, diversificando, allargandone l’offerta ai cereali, grani antichi, come sostitutivi del pane.

La vostra mission?

Il rispetto della tradizione è sempre stato il nostro leitmotiv, cercare di mettere sul mercato il prodotto migliore possibile. Sono pochi principi che ho ben saldi dentro di me.

Cosa significa per voi fare impresa? In questo particolare momento storico avete delle istanze per migliorare la vita degli imprenditori che investono sia nel territorio che nel prodotto?
Visto che c’è un nuovo governo alla guida del Sistema Paese?

Le idee ci arrivano solo se ci mettono in condizioni di farle nascere e crescere.
Se questo nuovo governo desse seguito ad una revisione del sistema fiscale, ad una minore pressione delle imposte, le idee ci arriverebbero di conseguenza. Io non avevo un quattrino quando sono partito.
Tutto quello che ho fatto nei vari anni non è mai stato finalizzato all’acquisto di beni mobili e immobili, la bella macchina, la casa, la barca, oppure a farmi un mese di vacanze alle Maldive, ho sempre investito nell’azienda, il mio chiodo fisso era quello di migliorare e far crescere l’azienda.
Per tornare a noi, le idee nascono dal fatto che se gli incentivi che ho avuto da chi ha creduto in me in passato arrivassero anche da chi mi dovrebbe voler bene a prescindere, cioè lo Stato, che dovrebbe dare la possibilità a noi imprenditori di lavorare, si farebbe girare l’economia e le idee verrebbero in automatico.
Per me che ho un’azienda di produzione, la mia forza non si concentra solo sull’intuizione, sul nuovo packaging o altro, la vera forza sono i miei collaboratori. Noi non siamo un’azienda di servizi, produciamo. Se riesco a far star bene i miei collaboratori, sono sicuro che loro lavorino con sempre maggiore impegno e scrupolo.Io dico sempre loro ricordatevi che siamo un’azienda che produce alimenti, se trovate un carrello con taralli cotti male, scartatelo, non immettetelo nella catena, non fatelo uscire di qui. Il discorso comunque è complesso. I dipendenti vorrebbero guadagnare di più, vorrebbero sempre condizioni migliori. Io invece vorrei che i governanti italiani guardassero agli Stati Uniti. Lì il mercato del lavoro è elastico.
Voi siete in una sede che è operativa da dicembre, perché l’azienda ha raggiunto dei risultati importanti.

Tesori d’Apulia è tra le prime aziende in Italia nel comparto come mono prodotto “tarallo”. Sono dati Nielsen. Stiamo lanciando la nuova linea di pack. La busta con i decori tipo maioliche è un nuovo materiale, sembra carta, invece è una vernice che dà l’effetto della carta.
Il tarallo è un prodotto povero, stiamo uscendo con questa confezione perché vogliamo che elevi il prodotto in quanto tale. L’idea della riproduzione dei disegni delle maioliche che appartengono alla nostra tradizione è del nostro creativo Luciano Rubino.
Una fase questa sia dal punto di vista logistico, sia dal punto di vista dell’immagine del prodotto che considero la fase di svolta definitiva.

La busta che abbiamo elaborato ci differenzia dagli altri prodotti e ci rende anche più visibili sullo scaffale. Credo che anche Marallo bio possa fare in modo che il prodotto tarallo possa essere sempre più elevato. La ristorazione lo sta già facendo, sia perché offre il prodotto nel cestino del pane, sia perché sempre più chef stanno utilizzando il tarallo come ingrediente nei loro piatti.

Il nuovo packaging  ha anche una particolare attenzione all’ambiente? Come si ricicla quella busta?

L’idea è stata di creare un pack che desse l’idea di toccare la carta, ma che fosse totalmente differenziabile nella plastica.

È la cultura dell’economia circolare.
Il direttore generale dell’azienda Nicola Catacchio ci conduce in questo tour nella stanza dei bottoni, ovvero nella zona produttiva dell’azienda.

Siamo i primi consumatori dei nostri prodotti. Nessuno ti dice come mettere su la linea produttiva, ti devi ingegnare. Per esempio non abbiamo tendaggi alle finestre, ma delle barriere d’aria dinanzi agli ingressi che ci consentono di non far entrare insetti o impurità che rischierebbero altrimenti di contaminare i nostri prodotti.
Abbiamo una zona dedicata dove stockiamo le materie prime: olio, vino, farine, ecc… Il nostro personale è molto qualificato, li formiamo ad hoc al fine della catena di qualità.

Abbiamo dieci forni. Per preservare i taralli da un eventuale irrancidimento degli olii, raffreddiamo i taralli appena sfornati, utilizzando un tunnel di raffreddamento, non con i ventilatori. La selezione del prodotto, inoltre, viene fatta da un addetto, se le teglie risultano con i taralli troppo cotti essi vengono eliminati, così come se sono troppo chiari, vengono scartati.
Poi le grandi ceste con le varie tipologie del tarallo non le posiamo a terra, ma su delle pedane, per evitare le contaminazioni con il pavimento. Sono tutti accorgimenti atti alla qualità di processo e di prodotto.

Quali sono le vostre prospettive, cosa vedete Oltre?

Oltre vedo la definitiva consacrazione di questo prodotto che non è più riconosciuto come prodotto tipico solo pugliese ma sta diventando prodotto tipico dell’Italia intera. Per me è un discorso anche di campanile, perché il grissino torinese, prima presente in tutti i ristoranti dello stivale, adesso è stato soppiantato dal tarallo pugliese. È anche una questione di cultura del cibo.

Oltre vedo la prospettiva che il tarallo possa candidarsi a diventare definitivamente una eccellenza della tavola.

Come azienda abbiamo iniziato ad esportare in California.
Chi fa brokeraggio lì mi ha detto che impazziscono per questo prodotto. Per me l’Oltre è quello! Il sogno americano!

Gli americani mangiano a tutte le ore e mangiano male. Quando inizi a far capire loro che si può mangiare anche in maniera salutare, il discorso cambia. Ci sono anche degli indirizzi governativi che li spronano ad andare in questa direzione salutistica. Quando si vedono arrivare questo prodotto dall’Italia che non deroga dal gusto, ed è anche buono sotto l’aspetto nutrizionale, il successo è assicurato. La Puglia può diventare la California.
Voi di OLTRE siete dei promotori del fare sistema. Per esempio Trani era leader nel calzaturiero, poi è arrivata la Cina e c’è stato uno sfacelo. Invece nelle Marche si sono consorziati e adesso costituiscono un polo mondiale per le calzature e gli accessori di alta gamma.
Noi dovremmo metterci insieme per diventare IGP. Nello specifico noi utilizziamo miscele di grani comunitari: francesi e italiani, però l’obiettivo può essere l’IGP.
Spero non sia solo una mera utopia.

Interviene Nicola Catacchio, direttore generale dell’azienda, che sinora ha affiancato Domenico Tarantini in questa avventura.

Noi viviamo lo stesso problema che vive l’olio, il tarallo è considerato una commodity (un bene per cui c’è domanda ma che è offerto senza differenze qualitative sul mercato ed è fungibile, cioè il prodotto è lo stesso indipendentemente da chi lo produce). Invece la nostra differenziazione è proprio per qualità; per noi il tarallo non è una commodity.

La questione si basa soprattutto sull’informazione, per far capire che c’è una differenza all’interno di quel nuovo pacchetto, e soprattutto una riconducibilità geografica. Noi non abbiamo certificazioni, potremmo avere la PAT, Prodotto Agroalimentare Tradizionale, cioè un prodotto che viene fatto secondo dei criteri di tradizione. E i fiorellini delle maioliche rappresentate sulla nuova confezione significano proprio quello. Non è solo una piacevolezza grafica. Se legge l’etichetta si accorge subito dell’attenzione che poniamo alle informazioni rivolte al consumatore: dalla tabella nutrizionale fino agli ingredienti utilizzati.
Tutto dev’essere chiaro e percepibile a colpo d’occhio: la quantità di grassi, di sale, di zuccheri.
Sinceramente auspichiamo che anche in Italia si possa adottare una tabella nutrizionale come quella imposta dall’attuale normativa in vigore negli Stati Uniti: con una maggiore evidenza dei grassi ed inoltre con l’introduzione in tabella di elementi come le vitamine, il ferro, il magnesio, ecc…
Loro hanno già fatto un lavoro che stiamo cercando di fare in Italia, però se non c’è un’informazione specifica, trasmetterlo diventa complicato. Se venissero elaborate norme che permettano di seguire questi iter burocratici per produrre prodotto di qualità, tutto sarebbe più facile.

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